Renzi versus Prodi. Chi rappresenta il centro-sinistra?

 

Renzi versus Prodi. Chi rappresenta il centro-sinistra?

La lettura, congiunta e comparata, dei due recenti volumi di Matteo Renzi, Avanti. Perché l’Italia non si ferma, Feltrinelli, e di Romano Prodi, Il Piano Inclinato. Crescita senza Uguaglianza, il Mulino, può rappresentare un utile esercizio orientativo atto a comprendere l’evoluzione dell’identità politica del centro-sinistra.

Ambedue partono dalla crisi economica e dalla sfiducia nei confronti del futuro gravanti sulla società italiana, ma, mentre per Renzi, essa appare generata unicamente da una sorta di torpore passatista annidatosi nei gruppi dirigenti del paese prima del suo arrivo al potere, per Prodi essa si inscrive nel passaggio storico dal capitalismo regolato (politiche keynesiane di intervento pubblico), alla crisi degli anni settanta segnati dalla stagflazione (stagnazione più inflazione), all’affermazione dell’ideologia neoliberista (liberalizzazione dei movimenti di capitale, deregolamentazione dei mercati, privatizzazioni). Il capitalismo neoliberista, in particolare, comporta un peggioramento colossale della condizione dei lavoratori (per il combinato disposto di globalizzazione e nuove tecnologie i salari sono calati in termini reali, la precarietà è divenuta un modello, il welfare si è eroso).

A diverse impostazioni analitiche, corrispondono differenti proposte di politica economica. Per Renzi si crea lavoro con la riduzione delle tasse e la semplificazione della burocrazia, rivendicando sgravi, innovazioni giuslavoriste del Jobs Act e battaglie simboliche come quella sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Propone dunque di finanziare una nuova riduzione di tasse con un aumento del disavanzo fino al 2,9 % del PIL, superando l’austerità europea, oltre alla riduzione del debito pubblico con un’operazione di valorizzazione del patrimonio pubblico (!?!) e a un piano di riqualificazione delle periferie e di alfabetizzazione digitale finanziato, soprattutto, con emissione di eurobond (fondo europeo), omettendo di ricordare, tuttavia, la primogenitura di Prodi (oltre che di Quadrio Curzio) sulla proposta.

Prodi considera necessario ridurre le disuguaglianze e, al fine di giungere ad uno sviluppo più equilibrato e sostenibile, ritiene prioritario contrastare il lavoro svalutato, sostituibile, frammentato (quando non assente) che, non più elemento di coesione e di sviluppo sociale, è divenuto veicolo di disparità e di esclusione. Dunque, per ottenere tale obiettivo, non è sufficiente ridurre la burocrazia, ma coordinare un’azione complementare di sindacati, governo e imprese.

Il sindacato dovrà recuperare non solo la sua funzione contrattuale, ma anche propositiva nella capacità di rappresentare non una mero fattore produttivo, ma cittadini che lavorano. Il governo dovrà rafforzare welfare e investimenti pubblici, attuare politiche redistributive che consentano di far ripartire l’ascensore sociale, rimodulando la tassa di successione (in sintonia con Thomas Piketty peraltro) per finanziare istruzione e formazione professionale, recuperare una politica industriale in grado di stimolare la formazione di grandi imprese capaci di affrontare la competizione internazionale. La governance delle imprese dovrà superare il primato degli azionisti per aprirsi tendenzialmente alla pari rappresentanza tra azionisti e lavoratori, per evitare la ricerca di profitti a breve scadenza e favorire percorsi di crescita più equi, volti alla maggior salvaguardia possibile di posti di lavoro.

Due impostazioni fortemente disparate. Quale delle due rappresenta l’autentico riformismo del centro-sinistra? La risposta non è difficile.

di Alessandro D’Ascanio Sindaco di Roccamorice

 

 

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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